giovedì 7 febbraio 2013

Molti bisogni sono artificiali


Sfinito da un viaggio più scomodo che lungo arrivo nella mia villa di Alba a notte alta: non trovo niente di pronto tranne il mio stomaco. Perciò stanco mi getto sul divano, senza prendermela per il ritardo del cuoco e del fornaio. Se una cosa si prende alla leggera, mi dico, non è grave e niente dovrebbe mandarci in collera, purché non lo ingrandiamo noi stessi col nostro sdegno. Il mio fornaio non ha pane; ne hanno, però il fattore, il custode, il colono. "Pane cattivo," dirai. Aspetta: diventerà buono; la fame renderà morbido e bianco anche questo. Perciò non bisogna mangiare finché la fame non lo comanda. Aspetterò dunque, e non mangerò prima di avere un buon pane oppure di non provare più disgusto per quello cattivo.
Abituarsi al poco è necessario: anche chi è ricco e ha tutto si troverà in luoghi e circostanze sfavorevoli che impediranno la soddisfazione dei suoi piaceri. Nessuno può avere tutto quello che vuole, ma può non volere quello che non ha e godere delle gioie che gli si offrono. Gran parte della libertà consiste in un ventre moderato e capace di sopportare gli stenti. Non si può immaginare quanto piacere mi dia il sentire che la stanchezza se ne va da sé; non cerco né massaggiatori, né bagni, unico rimedio è il tempo: il riposo elimina le conseguenze della fatica. Una cena qualunque sarà più piacevole di un banchetto inaugurale. Ho messo, dunque, il mio animo alla prova all'improvviso e perciò ne ho tratto un'esperienza più schietta e vera. Se l'animo si prepara e si impone di essere paziente, la sua reale fermezza non è chiara. Le prove più sicure sono quelle improvvise: se di fronte ai dispiaceri non è solo rassegnato, ma tranquillo; se non dà in escandescenze e non attacca briga; se supplisce a ciò che avrebbe dovuto ricevere non desiderandolo, e pensa che manchi qualcosa alle sue abitudini, ma non a lui stesso.

Dell'inutilità di molte cose ci accorgiamo solo quando cominciano a mancare: le usiamo non per bisogno, ma perché le abbiamo. E quante cose, poi, ci procuriamo perché le hanno gli altri o perché le posseggono quasi tutti! Ecco una delle cause dei nostri mali: viviamo imitando il prossimo e non ci facciamo regolare dalla ragione, ma trascinare dall'abitudine. Una cosa che se la facessero in pochi, non vorremmo imitare, quando diventa una moda la seguiamo, quasi fosse più giusta perché è più diffusa; l'errore, quando diventa comune, occupa in noi il posto del bene. Tutti ormai viaggiano come se li precedesse la cavalleria numidica e una schiera di battistrada: sarebbe una vergogna non avere nessuno che faccia scansare i passanti e mostri, alzando un polverone, che arriva un uomo importante! Tutti hanno ormai muli carichi di vasellame di cristallo, di murra, cesellato a mano da grandi artisti: sarebbe una vergogna se sembrasse che nei bagagli porti solo roba infrangibile! Tutti si trascinano dietro giovani schiavi col viso unto di crema perché il sole o il freddo non rovinino la loro pelle delicata: sarebbe una vergogna se nel tuo seguito ci fosse qualche schiavo col viso fresco senza bisogno di creme.

Evitiamo di parlare con tutti questi individui, sono loro a trasmettere i vizi e a diffonderli da un posto all'altro. Sembrava che i calunniatori fossero la razza peggiore: e invece ci sono quelli che diffondono i vizi. I loro discorsi sono veramente dannosi: anche se lì per lì non hanno nessun effetto, seminano nella nostra anima i germi del male e ci seguono anche quando ne siamo lontani: il male si svilupperà in seguito. Quando uno ha ascoltato un concerto nelle orecchie gli risuona il ritmo e la soavità di quella musica, che gli impedisce di pensare e di occuparsi di cose serie; così i discorsi degli adulatori e di quanti lodano le cattive azioni ci rimangono impressi anche quando non li sentiamo più. E non è facile liberarsi di quella dolce musica: ci perseguita persistentemente e a intervalli ritorna. Rifiutiamoci, perciò fin dall'inizio di ascoltare quelle parole disoneste, perché la loro audacia aumenta quando prendono piede e noi le accogliamo. Allora si arriva a questi discorsi: "La virtù, la filosofia, la giustizia sono parole vuote e altisonanti; l'unica felicità è vivere bene, mangiare, bere, godersi le ricchezze: questa è vita, questo è ricordarsi che dobbiamo morire. I giorni scorrono via e la vita fugge inesorabile. Abbiamo dei dubbi? A che serve la saggezza e imporsi di essere frugali alla nostra età, mentre ora possiamo godere dei piaceri (in futuro non saremo in grado di farlo), anzi ne sentiamo l'esigenza, e così precedere la morte e privarsi già adesso di tutto quello che essa ci porterà via? Non hai un'amante, non hai un ragazzo che susciti la gelosia dell'amante; ogni giorno ti mostri sobrio; e mangi come se dovessi sottoporre a tuo padre il libro dei conti: questo non è vivere, ma guardare vivere gli altri. Che pazzia avere cura del patrimonio destinato all'erede e privarsi di tutto per farsi di un amico un nemico con una cospicua eredità; la sua gioia per la tua morte sarà proporzionata al lascito. Questi severi e arcigni censori della vita altrui, nemici della propria, precettori universali, non tenerli in nessun conto e non esitare a preferire una buona vita a una buona reputazione."Bisogna fuggire queste voci come quelle davanti a cui Ulisse non volle passare se non legato. Il loro potere è identico: allontanano dalla patria, dai genitori, dagli amici, dalle virtù e ci spingono *** a una vita disonorevole e infelice. Quanto è meglio seguire la retta via e arrivare a gioire solo dell'onestà. E questo intento lo realizzeremo rendendoci conto che sono due le categorie di cose ad attrarci o a respingerci. La ricchezza, i piaceri, la bellezza, l'ambizione e quanto altro c'è di lusinghiero e suadente ci attraggono; ci respingono la fatica, la morte, il dolore, il disonore, un tenore di vita troppo austero. Esercitiamoci, dunque, a non temere le une e a non desiderare le altre. Combattiamo in due modi diversi: ritiriamoci davanti agli allettamenti, affrontiamo le difficoltà. Non vedi come è diversa la posizione di uno che scende e di uno che sale? Chi scende porta il peso del corpo indietro, chi sale si piega in avanti. Portare in avanti il peso del corpo in discesa o portarlo indietro in salita significa, caro Lucilio, tenere una posizione viziata. La strada verso i piaceri è in discesa, quella verso azioni difficili e impegnative è in salita: in questo caso dobbiamo spingere il corpo in avanti, nell'altro frenarlo.

Pensi che ora io dichiari pericoloso per le nostre orecchie solo chi loda il piacere e chi ci incute la paura del dolore, cose già di per sé temibili? Secondo me ci nuocciono anche quelle persone che sotto la maschera dello stoicismo ci esortano ai vizi. Vanno dicendo che solo l'uomo saggio e istruito sa amare. "È il solo adatto a quest'arte; ed è pure il più esperto nel bere e nel mangiare in compagnia. Vediamo fino a che età si debbano amare i giovani."Queste abitudini lasciamole ai Greci, noi piuttosto porgiamo le orecchie a queste massime: "Nessuno è onesto per caso: la virtù va imparata. Il piacere è una cosa vile e meschina, di nessun valore, comune anche alle bestie: vi aspirano gli esseri inferiori e più spregevoli. La gloria è cosa vana ed effimera, più instabile dell'aria. La povertà è un male solo per chi non l'accetta. La morte non è un male: chiedi cos'è? La sola legge uguale per tutti gli uomini. La superstizione è pura follia: teme le divinità che dovrebbe amare e profana quelle che venera. Che differenza c'è, infatti, tra il negare gli dèi e il disonorarli?"Queste massime vanno imparate, anzi imparate a memoria: la filosofia non deve fornire scuse al vizio. Non ha speranza di guarire un ammalato se il medico lo spinge all'intemperanza. Stammi bene.

(Lettere a Lucinio 123) Seneca

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